Open Daily 9:30–6:00, Monday Until 8:00

Back to all Post

GoRe

Gore – Francesco Poli

«In linea generale – scrive Daniele D’Acquisto – il progetto della mostra nasce da una riflessione di carattere tecnico-formale e contemporaneamente iconologico su ciò che è percepito come reale o al contrario come immaginario, sulla possibilità di costruire, a partire da linguaggi differenti, logiche percettive diverse dall’origine, sulla possibilità di arrivare alla fluidità e all’ organicità dell’immagine per mezzo di rigide logiche meccaniche, sfruttando le potenzialità di precisi strumenti di produzione (in questa logica, la scelta dei materiali impiegati ha un ruolo fondamentale)». Questa dichiarazione, anche se un po’ complessa, è significativa perché rivela un’attitudine mentale di ricerca piuttosto razionale e una accentuata sottolineatura dell’importanza dei materiali e dei metodi tecnici utilizzati in quanto freddi e impersonali generatori (addirittura per la loro intrinseca logica meccanica) da un lato di inedite condizioni di percezione di immagini ben note o chiaramente riconoscibili, e dall’altro di solide forme plastiche che traducono in una altra realtà onde sonore o anche liquide. In altri termini ciò che più preoccupa e interessa l’artista, come primario punto di partenza (e di arrivo) dell’operazione creativa, sembra essere la peculiare identità fisica dell’opera determinata da originali processi di concretizzazione dei temi e soggetti scelti, che si caratterizzano attraverso una forte tensione di straniamento e spaesamento. Si aprono così nuove possibilità di riflessione nella affascinante e inquietante direzione dell’ignoto e dell’indeterminato. In questo senso i suoi lavori, che sono generatori e stimolatori di visioni cariche di sorprendenti suggestioni estetiche, aprono nuovi territori di interpretazione del mondo reale e di quello virtuale (e della loro interazione), ma allo stesso tempo tendono in definitiva a stimolare una lettura autoreferenziale. Il titolo della mostra GORE fa riferimento al Golden Record, e cioè alla registrazione sonora inviata nello spazio nel 1977 nell’ambito della missione Voyager che conteneva tra l’altro il celebre discorso di Martin Luther King “I Have a Dream” e la canzone “Johnny B. Good” di Chuk Berry che racconta del sogno americano di un ragazzo che suona la chitarra. E proprio questo materiale sonoro è la base per una singolare operazione di “traduzione” in un altro supporto. Si tratta di una trasposizione del tracciato grafico di queste onde sonore o su lunghe strisce di legno oppure su cilindri di legno, scavati circolarmente a profondità diverse su tutta la loro lunghezza al tornio secondo un calcolato programma. Questi ultimi sono lavori sospesi in aria orizzontalmente, il cui silenzioso sviluppo plastico può essere, volendo, decriptato ascoltando in una cuffia la loro matrice sonora. Alla affascinante e misteriosa dimensione dello spazio extraterrestre (e alla sua conquista da parte dell’uomo, quella vera e quella immaginaria) sono dedicati, anche altri lavori che fanno parte della serie delle White Icons, e cioè dei ritratti di astronauti come Jury Gagarin e lo stesso Neil Armstrong, e di personaggi fantastici di Star Trek come Yoda o Spock, elaborati, con l’aiuto del computer, in leggerissimo rilievo attraverso una speciale tecnica basata sull’intaglio manuale di strati di carta bianca. Le immagini emergono appena dalla superficie come fantasmi appena riconoscibili, in modo tale che le valenze pop appaiono solo come una lontana eco. Qui, come negli altri esempi di White lcons, tra cui una diafana sterpaglia, Weed, e una sbiadita visione di un relitto di nave, riconoscibili,u en le immagini prendono corpo nella tridimensionalità fisica , livello minimo. Lo stesso avviene in un’altra serie, quella dei Desert in cui è ancora più presente un’atmosfera di rarefatta solitudine spaziale, che, per certi versi potrebbe essere letta come una metafora del rischio di desertificazione incombente sul futuro dell’umanità, anche in senso spirituale. Per realizzare queste grandi distese il cui orizzonte nel nulla, D’Acquisto ha utilizzato un procedimento tecnico differente e cioè un certo numero di sottili fogli di plexiglas sovrapposti, ciascuno dei quali riporta una parte dell’immagine definita con interventi di pittura acrilica bianca . Il tutto da vita, come in una specie di puzzle, alla configurazione del paesaggio. che si articola su differenti livelli di profondità. L’effetto è molto straniante, al limite dell’astrazione pura. particolare suggestione sono alcuni “deserti” formati da due parti perfettamente speculari. Connotazioni più fisicamente percepibili sono quelle di un grande lavoro sullo stesso tema scavato direttamente sulla tavola di legno sbiancato multistrato. Sempre in legno sono, due opere di carattere differente. La prima, Out of Time, in cui è stata attuata una strana solidificazione dell’acqua, mette in scena dei secchi in plastica con all’interno dei cilindri in legno torniti in superficie con rilievi a forma di onde concentriche. Mentre la seconda è forse l’invenzione più bizzarra e interessante, con notevoli possibili futuri Il titolo (anche questo legato in qualche modo allo spazio siderale) è Permanent Eclipse. È un lavoro in cui un tronco di albero di quattro metri è stato letteralmente tagliato a fette e tutti i pezzi sono stati riattaccati fra di loro in modo snodabile e provvisorio utilizzando delle piccole articolazioni magnetiche. In questo modo il tronco perde la rigidità e diventa una struttura fluida che può essere collocata nelle più diverse maniere, quasi come un serpente, ma non più nella sua naturale posizione verticale.

In nome del bianco – Marisa Vescovo

È certo che nel vedere un colore non percepiamo solo una gamma di vibrazioni elettromagnetiche, ma ne viviamo anche, soprattutto inconsciamente, l’effetto emotivo, che si può determinare con buona precisione: il colore dona spessore emotivo all’esperienza. Con i suoi lavori Daniele D’Acquisto ci parla del colore bianco, che è poi il colore della luce, in forza della sua caratteristica fisica di riflettere al meglio le onde luminose; tuttavia l’identità fra bianco e luce non rimane circoscritta alla fisica delle onde. Essa è molto profonda, e, oltre alla dimensione reale, investe anche quella simbolica. Il bianco comprende gli opposti: riflessione e assorbimento, vita e morte, presenza e assenza; indica l’assenza di colore, il suo grado zero, i fantasmi, le apparizioni, la paura, l’inquietudine. La ricerca di D’Acquisto si concentra sulla carta candida, valutandone potenzialità e limiti, e poi ne ritaglia delle parti a cui dà forme prefissate, indi le sovrappone a strati, che fissa su tavola, così da ottenere rilievi che il nostro occhio percorre e ricompone in forme e immagini riconoscibili, ma in fondo smaterializzate. In alcuni di questi quadri-scultura riconosciamo gruppi di persone, di tutte le età, che guardano verso l’alto, come in attesa di qualcosa che non c’è ancora per noi che guardiamo l’opera. L’atteggiamento di queste figure (nel ciclo Waiting For…) ci ricorda le immagini che troviamo nei quadri d’arte sacra legate alle scene dell’estasi dei santi, o a scene dove vi è comunque un’apparizione legata alla mistica romantica. In questo caso il bianco diventa il colore del divino, che è sempre legato a manifestazioni luminose, e che possiamo assimilare alla coscienza. Nelle opere di D’Acquisto non c’è solo questa presenza-assenza: troviamo anche tavole che potrebbero alludere a certe inquadrature di film, in cui tutti guardano verso l’alto in attesa dell’intervento provvidenziale del “Super Eroe”, o anche, più semplicemente, delle prospettive di un terrore inconcepibile che cifra le nostre giornate, o delle piccole apocalissi quotidiane, fasciate di banalità. Banalità che è poi il “logo” del nostro tempo, un tempo incapace di trovare un contatto con la realtà corporea e che ci induce sempre a cercare “altro”. Un secondo gruppo di lavori (Floreal Extension) riproduce una serie di ritratti di vecchi, adulti, bambini, dalle cui teste nascono fiori e foglie, che esprimono una malinconia che non è compatta e opaca, ma legata alle nostre psicosi, capace di mutarsi in una miriade di particelle di umori, sensazioni, sogni: un pulviscolo d’atomi come tutto ciò che costituisce l’ultima sostanza della molteplicità delle cose. Togliere al linguaggio ogni peso – come avviene con le opere velate da stratificazioni di plexiglas che ci conducono verso l’ombra abitata di grigi nebbiosi – per farlo assomigliare alla luce (talora lunare) e introdurre l’ombra della sua assenza, significa anche riconoscere gli influssi eterei che connettono macrocosmo e microcosmo. Al centro della creatività è il tema del bianco: nell’arte moderna il bianco della tela, o del foglio, è simbolo dell’opera come “realtà negata”, ricerca di assoluto che spinge ai limiti estremi dell’ enunciabilità, e libera la forma da ogni tributo alla mimesi, suggerendo un nuovo “inconscio ottico”.

Add Your Comment

Gagliardi e Domke © 2023. All Rights Reserved Privacy Policy/ Cookie Policy
This site is registered on wpml.org as a development site. Switch to a production site key to remove this banner.