Martina Brugnara // Congerie
Torino // 19.01.2016 - 27.02.2016
Gagliardi e Domke presenta:
#Martina Brugnara – Congerie
19.01.2016 to 27.02.2016
Via Cervino 16
10155 Torino
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CONGERIE
L’uomo ha sviluppato una particolare propensione a produrre “cose”, nel cui novero dobbiamo ascrive anche quegli attrezzi che gli consentono di realizzarle. Tenendo fede a quanto ci dice George Kubler, «nella storia delle cose è compresa anche la storia dell’arte. Le opere d’arte, più degli arnesi, rappresentano un sistema di comunicazione simbolica» che qui funge da tessuto connettivo tra l’abilità del bricoluer e il quoziente estetico dei singoli arnesi. Quelli di Martina Brugnara ci appaiono tanto affascinati quanto enigmatici, per- ché l’utilità pratica, reale o illusoria che sia, è subordinata a una fruizione prettamente visiva.
Attraverso un processo combinatorio, Brugnara sgrava gli oggetti dalla loro vita remota, riscattandoli non soltanto dall’usura e dalla ruggine, ma convertendone la natura utilitaristica in un’esigenza semiotica che diventa snodo/collante tra le arti meccaniche e le arti liberali. Non dissimili dai macchinari esposti in qualche Exposition Universelle del IX o del XX secolo, le opere di Brugnara potrebbero appartenere al genere delle machines célibataires, proprio perché estranee al sistema produttivo. Volendo stabilire un paragone, si potrebbe optare per la funzione svolta dagli statori, che sono direttamente connessi all’equilibrio (alla resa dei conti, torna a imporsi il tradizionale concetto della “composizione”). Ma pur essendo apparecchi in riposo, essi non rinunciano alla loro carica sovversiva: sono strutture tentacolari, provviste di estensioni su cui sono fissate falci, roncole, lime, seghetti, cesoie, asce, spatole, martelli, pinze e altri arnesi che potrebbero attentare all’incolumità dello spettatore.
Tale accumulo è da considerarsi alla stregua di un arsenale, giacché bellus e bellum condividono la stessa radice etimologica. Aspetto che, in questo caso specifico, dobbiamo ricondurre a Karl Elsener, il quale aveva rifornito le milizie elvetiche di coltelli multiaccessoriati che nel corso degli anni diventeranno l’emblema della funzionalità e dell’efficienza. Sulla scorta di questa suggestione, Brugnara asso- cia a ogni opera il nome di un membro della dinastia degli Elsener, la cui nomea è associata all’invenzione e/o alla proliferazione del coltellino svizzero (utensile che potremmo considerare come un fulgido analogon degli assemblaggi cui l’arte moderna e contempo- ranea ci ha abituati).
Poiché Samuel Butler ha detto che «il corpo umano non è che una tenaglia posta sopra un mantice e una casseruola, il tutto fissato su due trampoli», non è improprio stabilire un parallelo tra le opere di Brugnara e l’arte della ritrattistica. Anziché affidarsi a un modellato convenzionale, che si sforza di trovare una verosimiglianza con il soggetto, l’anatomia viene delegittimata in oggetti sapientemente col- legati tra di loro. Com’è ovvio, gli assemblaggi non intendono rappresentare delle persone in strictu sensu, cercano bensì di costituire, o ri-costruire, una “famiglia” di opere che poc’anzi erano state definite macchine, ma che a ben guardare non sono altro che trappole in grado di catturare la nostra curiosità. Premesso che curiosité era il termine con cui nel Settecento si indicavano le arti applicate, Martina Brugnara non aderisce in modo passivo allo scopo per cui sono state create le cose che lei stessa utilizza, si impegna semmai a trasfor- marle in res singulares capaci di produrre stupore, seduzione, sconcerto.
Nel lavoro di Messerschmidt esiste una forte componente autobiografica, le sue teste i suoi volti rappresentano sempre lui o in alcuni casi lui che interpreta differenti personaggi.
Roig utilizza una testa, un volto che non è il suo, per costruire un codice con cui decifrare le ossessioni e i demoni che non raccontano più una storia personale, ma un’immagine collettiva dove riconoscere i frammenti di sé e ricostruirli, nella propria testa.
#AlbertoZanchetta
(direttore Museo di Lissone)
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Gagliardi e Domke Gallery presents:
#Martina Brugnara – Congerie
19.01.2016 to 27.02.2016
Via Cervino 16
10155 Torino
JUMBLE
Mankind has developed a particular tendency to produce “things”, amongst which we must also include the tools used for making them. Martina Brugnara is faithful to the words of George Kubler: “Art history is also included in the history of things. Works of art, even more than tools, represent a symbolic communications system” which, in the case of this artist, serves as a connective tissue between the han- dywoman herself and the aesthetic quotient of each individual tool. Martina Brugnara’s tools are as fascinating as they are enigmatic, because their practical use, whether real of illusory, is subordinate to a purely visual use.
Through a combinatory process, Brugnara relieves the objects of their past life and redeems them, not only from wear and rust, but by converting their utilitarian nature into a semiotic need that becomes the intersection/adhesive between the mechanical arts and the li- beral arts. Like the machines exhibited in some of the universal expositions in the nineteenth and twentieth centuries, Brugnara’s works could well be a part of the genre of machines célibataires for the very reason that they are outside the productive system. If we wish to find a comparison we might find one in the function of stators, which are directly connected to balance (at the end of the day, the traditional concept of “composition” imposes itself). Even though they are abandoned appliances, they do not renounce their subversive load: they are tentacular structures on the extensions of which are fixed sickles, billhooks, files, saws, pincers, axes, spatulas, hammers, pliers and other tools that might threaten the safety of the public.
Such accumulations could be considered as an arsenal, given that bellus and bellem have the same etymological root. This is an aspect that, in this specific case, we must refer back to Karl Elsener who supplied his country’s army with the Swiss army knife which, over the years, was to become an emblem of functionality and efficiency.
Following in the footsteps of this idea, Brugnara has associated each work with the name of someone from the Elsener dynasty, a name which by now is associated with the invention and/or proliferation of Swiss knives (a tool that by now we could consider a shining example of the assemblages that modern and contemporary art has habituated us to). Given that Samuel Butler said that “The body is but a pair of pincers set over a bellows and a stewpan, and the whole fixed upon stilts”, it is not out of place to note a parallel between Brugnara’s work and portraiture. But, rather than
trusting in conventional models, one that attempts to find a likeness with the subject, she reduces anatomy to objects that are cleverly linked together. As is obvious, these assemblages are not intended to represent people in a strict sense but, rather, aim to establish or reconstruct a family of works that earlier I defined as machines but which, on a closer look, are nothing other than traps to capture our curiosity. Given that curiosité was a term used in the eighteenth century for the applied arts, Martina Brugnara does not passively echo the original use of these things that she utilises but, rather, she is concerned with transforming them into res singulares that can produce amazement, seduction, and discomfiture.
#Alberto Zanchetta
(director of Museo di Lissone)