DAVIDE MARIA COLTRO // ASTRAZIONE MEDIALE
DAVIDE MARIA COLTRO // ASTRAZIONE MEDIALE
LA MOSTRA CONTINUA FINO AL 22 NOVEMBRE 2024
A CURA DI VALENTINA BIANCHI
La sorpresa è un’esplosione di attenzione. I Quadri Mediali di Davide Maria Coltro possono sorprenderci perché sfuggono a certe aspettative di staticità, univocità, e permanenza su cui la pittura spesso si basa; ma più della texture, del soggetto, del trattamento della luce, ciò che le tele sovvertono è la distribuzione della nostra attenzione. Non basta uno sguardo per coglierne la presenza, l’esistenza. Per loro natura di flussi variabili e ininterrotti, i quadri non possono che essere esperiti in modo parziale: non importa quanta concentrazione dedichiamo loro, delle tele possiamo assistere a una serie finita di momenti. L’esposizione dei Quadri Mediali non rappresenta il momento conclusivo della creazione artistica, ma uno spaccato sul processo. Ogni opera funge da canale aperto tra l’artista e la spettatrice, consentendo al processo creativo di continuare anche oltre il momento della mostra. Gli schermi sono finestre sul flusso randomico programmato dall’artista e cambiano costantemente, seguendo alcuni parametri prestabiliti. Attivata così la nostra attenzione disordinata (da intendere non in senso negativo ma semplicemente come diffusa, sparsa), come osservatori siamo sfidati a rinunciare a fare esperienza del tutto. In un mondo digitale e reale in cui la registrazione e diffusione delle opere d’arte è più che mai facile, scontata, e pluriangolare, visitando questa mostra siamo invitati alla distrazione, cioè il dislocamento dell’attenzione. Possiamo rassegnarci felicemente allo scorrere e all’impermanenza, e alla nostra impossibilità di dedicare la stessa concentrazione a tutto ciò che ci appare di fronte. Coltro, come praticamente tutti gli artisti contemporanei, lavora in un contesto in cui lo sguardo del pubblico è condizionato dall’uso di dispositivi digitali e dall’abitudine a fruire contenuti in modalità frammentata. Il suo lavoro fin dalle prime sperimentazioni mira a stimolare un processo di introiezione più profondo, invitando lo spettatore a un coinvolgimento intimo e consapevole con l’opera. A partire dalla fine degli anni Novanta, Coltro ha esplorato il linguaggio fluido dei mezzi digitali, prefigurando non solo le tendenze artistiche contemporanee, ma le modalità stesse in cui le immagini oggi si diffondono e esperiscono. La collaborazione con Pietro Gagliardi, iniziata nei primi anni 2000, ha rafforzato e stabilito tale ricerca e ha contribuito alla diffusione di queste nuove percezioni. L’innovazione di questa indagine non si riscontrano tanto nella relativa novità del medium impiegato, quanto nella esplicitazione
del cambiamento costante dell’arte e della nostra percezione: quando uno schermo viene installato nella galleria o nella casa di un collezionista, esso diventa un portale attraverso cui fluisce un’esperienza pittorica che esiste già in potenza, e che anzi esiste con più originalità in quell’intervallo tra la creazione e la presentazione. L’importanza storica del contributo dell’artista risuona nelle riflessioni sull’estetica relazionale di Nicolas Bourriaud, risalenti al periodo in cui la sua poetica si solidificava: “gli artisti inventano modi di vivere, oppure creano la consapevolezza di un momento M nella catena di montaggio dei modelli di comportamento sociale, rendendo possibile immaginare un ulteriore stato della nostra civiltà 1 ”. Le esplorazioni estetiche di Coltro plasmano la nostra percezione del mondo, intrecciandosi con ciò che ci è sempre stato familiare e riscrivendo il tessuto delle nostre interazioni. È un atto di speculazione continua, in cui il digitale diventa un mezzo per decodificare e amplificare la realtà, aprendo varchi verso dimensioni inaspettate. Questo gioco di riflessi non si esaurisce nelle funzionalità, ma scava nelle profondità dei modelli sociali e culturali, germinando in nuove possibilità. La sorpresa e l’effetto delle opere in mostra dipendono non solo dalle mutazioni interne all’opera stessa, ma anche dalla disposizione mentale del pubblico, abituato a interagire con un flusso costante di immagini in movimento, ma senza che gli venga richiesta attenzione prolungata. Mentre lo “scroll” senza scopo sui social media è un’azione familiare, la distrazione, o meglio l’attenzione diffusa a cui siamo invitati davanti alle tele mediali ci sembra una novità ben accetta. Nella sua più recente pubblicazione 2 Claire Bishop ha accostato il concetto di ‘refreshing’ – l’aggiornamento delle pagine web – nelle sue riflessioni sull’arte contemporanea, facendo riferimento a quel processo di continua riattivazione e rinnovamento dell’attenzione del pubblico che caratterizza alcune performance presentate all’interno del contesto museale. Potremmo applicare questa analogia alle opere in mostra: i Quadri Mediali e la Scultura Mediale funzionano in parte come browser estesi, dove le diverse temporalità e configurazioni dell’opera possono essere esplorate a discrezione del pubblico o piuttosto a seconda del momento e dell’attenzione dello spettatore. L’osservatrice ha la possibilità di “navigare” tra i diversi momenti dell’opera, scegliendo dove focalizzare la propria attenzione, pur restando sempre in balia delle scelte dell’artista e dell’hardware a sua disposizione, che controllano il ritmo e la sequenza dei cambiamenti. Il tempo nelle
installazioni di Coltro è organizzato in cicli e flussi continui, ma include anche momenti di sorpresa e cambiamenti improvvisi che rimettono in discussione l’idea di linearità temporale, in particolar modo nel caso della performance di attivazione ripetuta in occasione di Surprise il 19 settembre 2024. Le tele operano su un’indissolubile interconnessione tra la volontà dell’artista e quella del fruitore. Non abbiamo un pieno controllo sull’interazione con l’opera, ma possiamo comunque decidere come e quando “cliccare” o muoverci, scegliendo di esplorare o ignorare determinati elementi, seguendo il
nostro istinto nel decidere quando avvicinarci o allontanarci. La riproduzione e diffusione delle mostre attraverso i social media è una pratica comune e diffusa sia per i musei e le gallerie sia per i visitatori. Questo tipo di documentazione, spesso condivisa in tempo reale, non solo amplifica la visibilità delle mostre, ma talvolta finisce per sostituire l’esperienza diretta delle opere. In un’era sempre più digitale, è difficile separare la interazione tradizionale con l’arte dalla sua rappresentazione online.
Alla luce di queste riflessioni è naturale domandarsi quale sia l’esperienza della fruitrice che decida di fotografare le opere esposte, e in cosa differisca da quella di chi dedichi la sua totale attenzione alla presenza inafferrabile e continua dei Quadri Mediali. L’osservatrice è trascinata in un flusso confuso tra reale e virtuale, attraverso la trasmissione della variazione costante. Anche in questo caso, siamo un pubblico che particolarmente si presta all’ambiguità, avvezzi come siamo all’esperienza “per altri”,
filtrata dalle fotocamere dei nostri smartphone. Quale esperienza avrà più valore, sarà ricordata, condivisa e riprodotta attraverso i social, e in che modo quest’ultima si trasformerà, rimangono questioni aperte.