LUISA RAFFAELLI // ARMED EPIGENETICS

Inaugurazione 18 maggio dalle 18
via cervino 16, torino
Luisa Raffaelli è un’artista ed architetto torinese. Ha lavorato con diverse gallerie e istituzioni pubbliche e private, partecipando a fiere e mostre sul territorio nazionale. Lavora con diversi mezzi che vanno dalla pittura digitale alla fotografia, dal video all’installazione. In alcuni lavori ha collaborato con esponenti di altri settori culturali , ad esempio ha realizzato con il regista Valter Malosti il lavoro Sing of the siren presentato alla Fondazione Merz nell’ambito della rassegna Meteoriti in Giardino, lo scorso anno ha realizzato la mostra videoinstallativa immersiva Un Acquario in città con un sound del jazzista torinese Giorgio Li Calzi, presentata all’Accademia Albertina di Torino e inserita nella programmazione della Biennale Democrazia 2021.
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Il prossimo lavoro di Luisa Raffaelli che verrà presentato in galleria il 18 maggio verte su un tema di estrema attualità: l’Uomo armato, risultante estrema di rapporti di forza – fra uomo e tecnologia, fra i differenti gruppi sociali, fra comunità e stati, fra comunità umana e potere e infine fra comunità umana e pianeta – che (s)regolano i problemi su scala planetaria. Luisa Raffaelli che ha messo al centro della sua attività artistica la narrazione, in Armed Epigenetics, invita ad una riflessione politica e filosofica sulla dimensione etica e morale insita nella politica spartiacque delle armi.
Il nucleo del lavoro che sarà in mostra consiste in una installazione dove la muscolatura ipertrofica di un bodybuilder, diventa allegoria di una materia in sé, fisica e liquida, invasiva e contaminante. Luisa Raffaelli dice: ho costruito una sorta di corpo liquido plurale, realizzato con acetati stampati e dipinti, che si scorpora in ulteriori parti, fatte di pettorali, schiene, muscoli, bicipiti. Una massa lenticolare che pare gocciolare e coaugularsi in una grande conca di ferro argentato come un liquido amniotico. Materia attiva e generativa basata sulla forza. In una seconda conca affiora la schiena possente di un uomo nascente e armato.
Una serie di immagini dove le armi fanno parte, fisicamente, del corpo – una mutazione epigenetica che coinvolge anche la mente e il cuore – completano la mostra.

 

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J&PEG // FAKE LIFE

a cura di Carlo Sala

 

Inaugurazione 3 maggio dalle 18
via cervino 16, torino

 

Stand a ThePhair 2023
5 — 7 maggio
Via Francesco Petrarca, 39b Torino Esposizioni Padiglione 3, 10126 Torino

 

Per l’edizione 2023 di ThePhair la galleria Gagliardi e Domke, che ha recentemente compiuto 20 anni di attività, presenta il duo artistico J&PEG (Simone Zecubi e Antonio Managò).
Oltre alla presenza in fiera dei J&PEG con uno stand interamente dedicato, Gagliardi e Domke presenterà in galleria, in contemporanea, un solo show della coppia di artisti dedicato alla recente produzione – quella di cui stiamo parlando – che sarà affiancata anche da un sintetico percorso a ritroso sul loro lavoro.
L’obiettivo di questa doppia presenza è quello di consentire al pubblico di osservare l’evoluzione del lavoro della coppia circa il processo che conduce all’immagine.
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Nel corso dei secoli le innovazioni dei grandi autori hanno condizionato gli altri artisti e sono circolate nel continente europeo grazie al collezionismo di opere o alle loro riduzioni a stampa. Il tutto era dominato dalla temporalità lenta di un’epoca predigitale dove ogni immagine era il frutto di un’evoluzione stilistica, sociale e culturale. L’iconosfera odierna preconizzata da Marshall McLuhan negli anni Sessanta – che influisce sulla nostra percezione del mondo e sui nostri comportamenti – è invece basata su processi istantanei e ogni variazione estetica viene condizionata, se non predeterminata, su scala globale da quella che è stata definita una ‘estetica dell’accesso’. I riti del quotidiano sono scanditi da palinsesti visivi – a cui partecipiamo in veste di prosumer – dove sono annullate gran parte delle differenze identitarie per uniformarsi a una grammatica visiva condizionata dal sistema di relazioni digitali dentro cui agiamo da oltre un decennio. Il mondo dei social network mette apparentemente al centro l’uomo, instaurando però un gioco di maschere, parvenze e adesioni alle strutture narrative dominanti: queste dinamiche sono i prodromi della riflessione autoriale condotta nelle opere recenti del collettivo J&PEG. Le figure ritratte nella serie Fake Life (2019 – in corso) sono caratterizzate da una sorta di velo che ne occulta il volto ingenerando una sensazione dal sapore contraddittorio ricordandoci la nostra condizione di persone che comunicano attraverso un filtro digitale, capace di creare una frattura tra il principio di realtà e la costruzione semantica che offriamo di noi. I panneggi utilizzati dal duo per occultare tanto gli oggetti, quanto i volti delle persone ritratte, hanno la funzione di provocare dei cortocircuiti nella linearità rappresentativa e percettiva che usualmente domina la comunicazione vernacolare del nostro tempo, dove la maggior parte delle immagini prodotte risponde a dei canoni precisi. Il nostro sguardo è generalmente posto di fronte a quello che il filosofo Byung-Chul Han ha definito come la comunicazione levigata che è «libera da ogni negatività dell’altro e dall’estraneo, e raggiunge le massima velocità là dove l’uguale reagisce all’uguale» in una sostanziale uniformità visiva per generare un messaggio lineare, superficiale e privo di ogni singolarità contenutistica o formale. Al contrario nelle opere di J&PEG gli oggetti raffigurati – come i vasi – nonostante abbiano una natura e una funzione ben precisa, sembrano assurgere un’aura di mistero che ne impedisce una perfetta comprensione, lasciando così aperta la porta verso molteplici significazioni e una metafisica dello sguardo. 
Nel corso della loro ricerca il duo di artisti ha voluto creare un dialogo serrato con una pluralità di fonti visive e nelle loro precedenti opere compaiono una serie di riverberi della pittura classica, del cinema e dei protagonisti dell’arte del nostro tempo. Nell’ultimo ciclo, pur permanendo questi riferimenti che sono profondamente introiettati dagli artisti, appare chiaro come il loro sguardo si stia interrogando sulla dimensione della prossimità. Nella costruzione formale delle opere appaiono elementi minimi, mutuati dalla quotidianità che, attraverso l’atto creativo, viene elevata a dimensione estetica grazie al sentimento dello stupore. Il loro articolato processo creativo, generalmente dominato dal rigore e dalla perizia formale, ha visto insinuarsi il potenziale generativo della casualità che può modificare i lavori in corso d’opera e condurli in direzioni inaspettate. La prima fase creativa ha visto gli autori realizzare una fotografia di still life che in un secondo momento viene proiettata su degli elementi tridimensionali, fatti di tubi argentati, per realizzare un secondo scatto; durante la postproduzione le due fotografie sono poi sormontate per giungere a una stratificazione visiva feconda di riflessioni sullo statuto stesso dell’immagine. Quest’ultima, date le sue qualità formali, può indurre a credere in una sua natura meramente digitale e artefatta, ma al contrario rimane strettamente connessa alla tangibilità fisica degli oggetti impiegati durante la realizzazione. In tal senso il processo creativo ha un valore primario, e nel suo svolgersi si aprono nuovi interrogativi sulle possibilità di espansione del concetto di fotografia, stimolate anche da un’attitudine performativa degli autori.  
Nelle immagini in cui è presente la figura umana si assiste a una indagine introspettiva che oltrepassa la natura apparentemente patinata delle fotografie che si avvicinano a un’idea di ritratto psicologico. Se ai suoi albori la fotografia era vista come uno specchio del mondo, a voler segnare una oggettività del mezzo, in questo caso diviene lo strumento per un colloquio interiore tra Spectrum e Operator. Da un lato è fissato il portato emotivo delle persone raffigurate, ma sui loro volti si riverberano anche una serie di istanze umane connesse al sentire presente di Antonio Managò (Busto Arsizio, 1978) e Simone Zecubi (Gallarate, 1979) del duo J&PEG. Queste opere recenti, pur inscenando soggetti variegati, sono tutte connaturate da un senso di attesa e sospensione quasi fossimo dinanzi a un presente capace di prefigurare nuovi accadimenti già insiti a livello formale nelle composizioni fotografiche.
J&PEG _Still life 11_ Photography printed on baryta paper. 120 x 80 cm, 2023
J&PEG _Still life 06_ Photography printed on baryta paper. 100x70cm, 2023
J&PEG _Still life 13_ Photography printed on baryta paper. 120 x 84 cm, 2023
J&PEG _Still life 05_ Photography printed on baryta paper. 100x70cm, 2023
J&PEG _Still life 09_ Photography printed on baryta paper. 100x70cm, 2023 copia
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